Ieri sera ero a spasso per il Pigneto con Luca e Gaetano, cari amici e fondatori di Italic, un pregevole e giovane mensile giunto al suo 7 numero, e con Francesco. Io gli parlavo dell’articolo di Gramellini, Una vita con B, che la mattina Raffaele aveva letto a me e Vincenzo, chiedendoci di indovinare chi lo scrivesse. Ignorando che Gramellini si fosse occupato per 15 anni di sport (chi lo sa che stile aveva?) non ci sono proprio arrivato. L’articolo è scritto bene, come mi suggeriva un amico su facebook, sembrerebbe la sceneggiatura di un film. Tipo Il divo di Sorrentino, aggiungerei. Insomma un ritratto di Berlusconi crudo, duro. Che condivido e trovo utile.
«Pareggia l’articolo di Calabresi». E qui Gaetano racconta una storia che non conoscevo e che ho ritrovato accennata in un vecchio articolo del Corriere.
Perche’ mai, domanda l’intervistatore alla donna (Gemma Capra, la vedova del commissario Calabresi ndr), anche chi odiava dal profondo della sua ideologia Adriano Sofri, ed era contento di vederlo in galera, non si era schierato contro la campagna innocentista? “Per paura di fare un favore ai giudici”, risponde Gemma Capra. E subito dopo racconta un episodio su Silvio Berlusconi, il quale in un’intervista aveva dichiarato di “comprendere le sofferenze” di Sofri. Il capo del Polo, venuto a sapere che Mario Calabresi, il primogenito, si era dispiaciuto, lo invito’ a cena e si scuso’ per avere detto quelle cose. Queste le sue parole: “Suo padre era un galantuomo, gli assassini hanno avuto finalmente quello che meritavano”.
In effetti l’articolo di Calabresi ha tutto un altro tono rispetto a quello di Gramellini. È un’intervista mista a qualcos’altro. Si lascia leggere, ma a me scende con un sapore amaro. Passa la consapevolezza di leggere qualcosa che è frutto di un rapporto intimo tra due persone, che Calabresi condivide con i suoi lettori, in qualità di direttore, con grande sapienza, certamente.
È quel senso di intimità e di affetto che mi colpisce. Parlano al telefono e nel cuore della notte due persone che si conoscono bene, che hanno confidenza, amicizia. Eccolo lì, quel sapere annullare le distanze di cui sono capaci i leader. Avevo già sentito la storia di Bondi, sindaco comunista di Fivizzano dal 1990 al 1992, che accompagnando l’amico scalpellino ad Arcore rimane folgorato da Silvio e torna responsabile culturale di Forza Italia.
Tutta questa storia mi fa pensare a una mia vecchia fissa. Che la qualità leader è un dono per chi ce l’ha e un bene o una condanna per chi la subisce, dipende dai casi.
In Fiat ho conosciuto varie personalità carismatiche e alcuni bravi leader: persone con buone idee e la passione per realizzarle, l’entusiasmo da passarti perché ti dedicassi quasi 60 ore alla settimana a realizzare, mettendoci tutta la tua creatività e passione fino a sentirlo tuo, quello che loro avevano in mente. Esperienze molto belle e positive, che credo testimoniano della capacità degli uomini di sviluppare progetti innovativi e che migliorano la qualità degli oggetti, dei servizi che hanno attorno. D’altra parte ho anche conosciuto dei patetici personaggi che vedevano se stessi come leader, ma che in realtà erano responsabili di gruppi di lavoro sull’organigramma. Stendiamo un velo pietoso sul loro affannarsi in riunioni piene di parole vuote, in cui tentavano goffamente di imitare figure lontane e applicare parole vuote come leading change, leading people.
Alle volte mi viene da pensare che la sinistra italiana pensi di non avere un leader. E questo ci può stare. Il problema è che in questo vuoto si inseriscono le persone patetiche che credono di esserlo. Ebbene, persone patetiche, leggetevi bene gli articoli di Calabresi e Gramellini, capite che non avete la stoffa, e, visto che i leader sono necessari, lasciate spazio all’unica persona che ha carisma e capacità, a sinistra, in questo momento, in Italia. Io un nome in mente ce l’ho.