La prima volta, più di un anno fa, non avevano ancora attivato il servizio, eppure sul sito di ticketone quell’ufficio postale era indicato. L’addetto mi disse di passare la settimana dopo. La seconda volta, un mese dopo la prima, la scena è stata la stessa.
Oggi, una signora che chiacchierava con un’amica, abbastanza sbrigativamente, mi ha confermato che sì, «è tutto attivo», ma l’accesso al portale di ticketone ce lo ha solo una sua collega, che ora non c’è. «Sa dirmi quando posso tornare?» le chiedo paziente. «È in malattia». «Quindi?». «Non saprei, ma può provare in un ufficio più grande, a Ostiense» .
Io immagino i manager di ticketone e di poste, a fino anno, controllare costi e benefici della loro partnership. I numeri, su grande scala, saranno buoni. Eppure due organizzazioni con tale reputazione debbono affidarsi a mezzi più sofisticati per affinare e perfezionare il servizio e avere utenti davvero soddisfatti. Credo potremmo parlare di service design.
Ad esempio avere un meccanismo di monitoraggio automatico dei log-in degli operatori e dei biglietti emessi dalle varie sedi locali potrebbe fare loco capire se c’è o meno un interruzione del servizio e che danno, tale interruzione, può portare alla loro immagine. E di lì, cambiare i processi organizzativi non sarebbe cosa malvagia. In bocca al lupo.
Programma ideale:
Ore 9:00 Massimo, sala 1. No. (è il titolo) di Pablo Larrain. Un pubblicitario cileno si oppone alla campagna presidenziale di Pinochet. Da vedere.
Ore 11:30, massimo 1. Holy motors di leos carax
Ore 14:30, Lux, sala 1. Final cut. Ladies and gentleman di g. Pàlfi, Ungheria. Film di solo montaggio di scene prese da altri film. Che fai, ancora ci pensi? Dai su, ti conservo il posto.
17, Lux 1. 11/25 The day Mishima choose his own fate. Di Wakamatsu, Giappone. Film sulle ultime due giornate di vita del grande poets Mishima. 120′ di puro film festivaliero.
LA PAUSA dalle 19 alle 22:15 da spendere in un posto buono per una cena sul presto o aperocena. Non ho tante idee, suggerimenti sono ben accetti.
Ore 22:30, Reposi 1. The lords of Salem di Rob Zombi. Horror movie, per un gran finale di giornata
Roma, metro B, un giorno di lavoro qualsiasi.
Sto aspettando il treno da più di 15 minuti. Non è cosa abituale. Un freddo annuncio avvisa che a causa di un “guasto tecnico” il servizio è rallentato.
Punto.
Non è dato sapere quanto sia rallentato. Non viene dato alcun consiglio su scelte alternative. E soprattutto l’annuncio è dato due volte di seguito e ripetuto anche ogni minuto.
Un gruppo di persone vicino a me inizia a guardarsi facendo la faccia a punto interrogativo. Facce da nord Europa. Non comprendono gli annunci, non trovano conforto nei tabelloni luminosi e nelle TV che danno solo spot. Gli annunci sono solo in italiano.
Nei 15 minuti di attesa alzo lo sguardo dal libro che sto leggendo e ho tempo di guardare i monitor pubblicitari in banchina: tra gli spot scorgo un avviso alla clientela: c’è un pronto soccorso alla fermata Anagnina. Ottimo. Ma la domanda è: clientela a chi? Ma ancora con questa storia della clientela? Noi siamo cittadini, italiani ed europei che fruiscono di un servizio pubblico. Siamo viaggiatori. Lavoratori. Studenti. Turisti.
Clienti, no.
Anche questa è Roma Capitale.
Oggi Andrea, il mio barista, mi ha dato alcuni consigli per fare un buon caffè con la napoletana.
Tutto sta nel capire quanto tempo il caffè ci deve mettere per «uscire». Per la napoletana ipotizziamo 2 minuti. «Se ci mette troppo tempo il caffè ce lo beviamo freddo». Stabilito questo tempo ideale, per rispettarlo bisogna trovare il grado di macinatura giusto. Facciamo un primo tentativo. Se il tempo necessario è minore di quello previsto vuol dire che l’acqua passa troppo in fretta, la macinatura ha una grana troppo grossa, e allora bisogna macinare più fine. Al contrario, se ci mette più di quanto vorremmo, scende troppo lento, vuol dire che la macina è troppo fine, e bisogna diminuire la grana.
Per essere più raffinati in questa ricerca della macinatura ideale e trovare stadi intermedi possiamo mescolare al caffè macinato un po’ di zucchero o di cacao: il primo renderà più veloce la discesa dell’acqua, il secondo più lenta.
Non gliel’ho chiesto, ma questi consigli, credo, valgano per l’espresso e per la napoletana. Per la moka ricordo di aver letto controindicazioni a usare lo zucchero. Al massimo potete passare a chiederglielo di persona, se vi trovate a Roma tra la Garbatella e Eataly all’Ostiense. Anzi chiamatemi, una buona sfogliatella (o pastierina) e un caffè del Gran Bar, in via Usodimare 30 a Roma, ve li offro con piacere.
Il cortile del castello era gremito di ragazzi che andavano «A scuola di futuro» partendo dalla conoscenza radicata e profonda di Tullio de Mauro, stimolato dalle domande di Annamaria Testa. Tutto bello. Ma ciò che davvero ha rapito la mia attenzione sono stati alcuni manifesti usati per coprire le impalcature di lavori in corso, prese tutte da Jeremyville Community Service Announcement, che ovviamente esiste da una vita e che io ho scoperto solo ieri.
Questo è dedicato a chi ha visto il concerto del Boss a Firenze:
Ho cominciato questa settimana dando uno sguardo al programma di Smart city exhibition e con la lettura de La società dei dati.
Quest’autunno ha gettato solo ombre su un modello di amministrazione pubblica che va profondamente ripensato (1) e, probabilmente, sarà sorpassato (2) da una cittadinanza matura e piena di inventiva.
I due video trovati su TED, a mio avviso sono perfetti per approfondire i due punti:
- Beth Noveck: Pretendiamo un’amministrazione più aperta
- Jennifer Pahlka: Coding a better government
In particolare, ecco le parole di Beth Noveck che più mi hanno colpito, riassumibili in questa frase : «the urgent need we have to redesign the flow of our institutions».
Ecco il nodo della questione. I governi esistono per incanalare il flusso di due cose, valori e competenze, da e verso il governo. e da e verso i cittadini al fine nel prendere decisioni. Tuttavia, il modo in cui le nostre istituzioni sono progettate, nel nostro modello centralizzato tipico del 18° secolo, il flusso di valore si incanala attraverso il voto, una volta ogni 4 anni, una volta ogni 2 anni, nel migliore dei casi, una volta all’anno. È un modo piuttosto sottile ed anemico, per esprimere i nostri valori, in questa epoca di social media. Oggi abbiamo tecnologie che ci consentono di esprimere ampiamente noi stessi, forse un po’ troppo.
Da alcuni anni gli scienziati studiano il fenomeno che viene spesso descritto come flusso, che la struttura dei nostri sistemi, che siano naturali o sociali, incanali il flusso di qualunque cosa li attraversi. Un fiume è progettato per incanalare il flusso dell’acqua, il fulmine che esce dalla nuvola incanala il flusso di elettricità e una foglia è progettata per incanalare il flusso dei nutrienti verso l’albero, talvolta dovendo anche aggirare un ostacolo, ma riuscendo a portare quel flusso di nutrienti. Lo stesso si può dire dei nostri sistemi sociali, dei nostri sistemi di governo, in cui perlomeno, il flusso ci propone una corretta metafora per la comprensione del problema, di ciò che veramente non funziona, e del bisogno urgente che abbiamo, che sentiamo tutti oggi, di riprogettare il flusso delle nostre istituzioni.
Se il discorso di Noveck, ex vice CTO alla Casa Bianca, può sembrare di alto livello, Jennifer Pahlka è la fondatrice e direttore esecutivo di Code for America e «una grande comunità di persone che sta creando gli strumenti di cui abbiamo bisogno per fare le cose insieme efficacemente».
Mi pare lo spirito giusto per cominciare questa stagione e per partecipare alla prossima Global jam, che dovrebbe esserci a novembre.
By Poster Boy NYC - http://www.flickr.com/photos/posterboynyc/5877949784/
Un magazine che si dedica tutto all’errore, all’ombrello, al circo.
Che disegna un carattere tipografico ad hoc per il tema di cui tratta.
Che si reinventa numero dopo numero.
Luca, Barbara e i fondatori di Label raccontano in maniera personale e ricca di dettagli la storia di Label, che avevo sentito spesso, ma che così mi ha quasi commosso.
Se vi piacciono le storie belle e impossibili, questo video fa per voi:
Label. A style magazine unlike any other
PS: in questi giorni ero un po’ triste per via dell’interruzione delle pubblicazioni di Italic.
Però quest’immagine m’ha ridato ottimismo:
…e quell’everyday life, mi fa pensare molto al concept che c’era dietro alla campagna di lancio della 500 nel 2007. È vero che stavano sempre avanti.
In questi giorni si svolge a Roma il Forum PA, ricco di keynote su smart cities, open data e tutto quanto possa contribuire a migliorare i servizi per il cittadino.
Ecco, magari diamo una email a tutti coloro che lavorano nella PA. Soprattutto se, come mi dice l’operatrice torinese della storia che vi racconterò, devono essere gli uffici pubblici a scambiarsi i dati necessari a erogare i servizi al cittadino. E non il cittadino a impazzire dietro alla burocrazia di uffici diversi e spesso chiusi.
(Foto di Carlo Bonini)
La mia storia è semplice. Nato e residente a Napoli, ho avuto domicili sparsi per l’Italia da quando ho 18 anni.
Di solito mi ricordo sempre tardi di cambiare o rinnovare il medico di base. Per chi è «domiciliato» il medico è temporaneo e dopo 12 mesi «scade».
La mia avventura comincia di mattina, con una solerte operatrice della ASL di Ciampino che consulta un sistema del ministero delle finanze per verificare che io non abbia già un altro medico.
Mi pare giusto.
Cosa scopre? Read more…
Riccardo Luna, in un interessante articolo di repubblica cita il segretario del partito dell’amore, che sta investendo sul modello Obama per vincere le prossime elezioni:
Una volta i ragazzi attaccavano i manifesti – ha spiegato il segretario – oggi è molto più facile ed efficace attaccare un post.
Niente meno Al ha detrattori interni:
Questa grande novità a me sembra tanto il partito del Sarchiapone.
Ma perché fino ad ora che partito è stato?
Questa mattina alcuni architetti dell’informazione italiani, tra i quali Carlo, Federico, Yvonne m’hanno fatto un bel regalo retwittando «Understanding Information Architecture», una presentazione in prezi ideata da Peter Morville e illustrata da Jeff Callender.
Mi sono ritrovato immerso a schermo pieno in un densissimo percorso tra concetti che spiegano magnificamente l’IA, in soli 5 minuti. Ho raccolto tante parole chiave, che hanno effettivamente aperto alcune porte. Si tratta di ricordi ed esperienze che, messi assieme, mi danno il senso personale del mio essere information architect. Li appunto qui (più per me che per voi, che fareste prima a gustarvi la presentazione così com’è!).
Capovolgere una site map per offrire «multiple front doors» agli utenti, mi ricorda A testa in giù, meraviglioso pezzo della mia adolescenza (l’ho già detto che sono appunti per me?).
«Findable social objects», è la sfida per cui a un certo punto ho scelto i servizi e lasciato i prodotti.
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